Gallurablog

Gianni Chessa contro Time in Jazz e simili

giovanni chessa assessore turismo sardegna
time in jazz paolo fresu evento in sardegna
time in jazz paolo fresu evento in sardegna

Probabilmente nei prossimi calendari avremo più sagre della patata, della cipolla, dei carciofi. Meno trombe, più patate. Praticamente una paronomasia. 

“Con la cultura non si mangia” diceva un saggio economista, salvo poi rinnegare questa perla di affermazione. Perle di simile pregio non mancano nemmeno nelle aule di Via Trento a Cagliari, sede della Regione Sardegna oggi rappresentata da una curiosa giunta che annovera, tra le sue fila, anche Gianni Chessa, assessore al turismo. Il bersaglio, in questo caso,  è Paolo Fresu, trombettista jazz noto ed apprezzato in tutto il mondo e fondatore di Time in Jazz, uno dei più importanti eventi della Sardegna e dell’intero belpaese. L’assessore al Turismo Gianni Chessa esprime la sua visione di promozione del territorio, proponendo una contrapposizione tra feste paesane e sagre della salsiccia con Time in Jazz e simili. L’apertura alle diverse culture del mondo, dove contaminazione e fusione favoriscono la crescita e l’incontro dei popoli, è qualcosa di ancora sconosciuto ad alcuni, tra questi l’assessore Chessa. E’ da qui che nel dizionario della limba sarda è stato aggiunto un nuovo vocabolo: chessata, una traduzione dall’italiano volgare “cazzata”.

A seguire uno stralcio dei numerosissimi commenti che hanno riempito blog e testate i queste ultime ore. Una sorta di Kessatepedia.

  • Chessata 1 tratta da (Cronache Nuoresi): “Fresu non faccia domande di contributi, e a quel punto non apparirà sui siti istituzionali”.  
  • Chessata 2 tratta da (SardiniaPost): “Per me la cultura è quella identitaria, delle tradizioni, le launeddas, la chitarra e i canti a tenore”. 
  • Chessata 3 tratta da (YouTG.net): “Io alla cultura complessivamente sto dando ben 4,6 milioni di euro, e per me la cultura è quella identitaria, delle tradizioni, le launeddas, la chitarra e i canti a tenore. Non jazz e tromba.”

Tratto da SardiniaPost “Spiace che a guidare la logica dell’erogazione dei fondi dell’assessorato al Turismo per le manifestazioni culturali sia un’idea simile di cultura in Sardegna. Ridotta a carnevalata in costume – sia detto rispettosamente: qui non si parla delle tradizioni ma dell’utilizzo che se ne fa – a uso e consumo dei turisti. L’idea che chi arriva nell’Isola debba essere accolto da donne in costume sardo e che anche i camerieri – secondo la logica dell’assessore – debbano vestirsi in abiti tradizionali in servizio al ristorante – che ovviamente deve servire “porceddu” e malloreddus – rientra in questa logica esplicitata più volte. Dovremmo appiattirci all’immagine che pensiamo abbiano di noi i turisti. Una popolazione esotica – e ovviamente ospitale – e non una comunità di persone con tradizioni importanti ma anche pienamente calate nella contemporaneità, che propone una cultura varia, complessa, “di oggi”, che non dimentica il passato ma riesce a raccontare l’oggi e aprirsi al futuro. Dietro quel pensiero c’è – insomma – un’idea autocolonizzata di identità sarda.”. 

Tratto da (SardiniaPost): “Per l’assessore questo è il turismo esperienziale che deve spingere i turisti a una partecipazione diretta agli eventi folcloristici. A bocca quasi asciutta i festival letterari: Chessa non crede in una promozione turistica fondata sulla cultura in senso stretto a cui vanno le briciole: 400mila euro all’anno per tre anni”.

Concludiamo con il pensiero di Paolo Fresu, in uno stralcio da L’Unione Sarda: “Non spetta a noi discutere il valore delle manifestazioni né l’incidenza turistica, economica e di immagine dentro e fuori la Sardegna. Sarebbe una battaglia tra poveri – sottolinea il jazzista – che ci metterebbe tutti in una posizione di conflitto con noi stessi e che una certa politica forse si attende. Se la Sardegna è una isola-continente (lo scrisse Marcello Serra nei primi anni Sessanta) questa deve raccontare tutta la sua ricchezza culturale e storica che è fatta di folklore e di tradizioni oltre che di linguaggi contemporanei e innovativi. Possiamo invece discutere sull’esiguità della cifra destinata alle manifestazioni culturali e di spettacolo e sulle regole incomprensibili e inaccettabili attraverso le quali se ne stabilisce il valore”.

“…per il resto spero che qualcuno del mondo della cultura sarda alzi gli scudi in difesa del proprio operato, dei propri diritti e della propria storia. Io l’ho già fatto ma, visti i risultati della battaglia nonché la scomposta reazione di molti colleghi nel mio difendere gli interessi collettivi, lascio a loro le armi. Noi continueremo a fare per il bene comune. Compreso quello della Regione Autonoma della Sardegna che, fortunatamente, conosce anche un altro passo ed è ancora abitata da sognatori e visionari”.

R. Rossi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *